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GOSFORD PARK
Un cast imponente di attori che più "British" non si può (Northam, la Smith, la Mirren, la Scott-Thomas, ecc.ecc.), con qualche presenza yankee (Philippe) agli ordini di Altman per un film che francamente gode di una critica eccessivamente benevola. Non basta infatti l'impeccabile atmosfera dell'aristocrazia inglese dei primi anni '30 per considerare riuscito il film, comunque più convincente nel descrivere il sottobosco parallelo della servitù (addirittura ai valletti viene assegnato lo stesso nome e lo stesso posto a tavola dei nobili che servono) che nella parte "gialla" alla Agatha Christie.
Il mondo seminascosto di cuochi e camerieri, con le rigide disposizioni impartite dal capo-maggiordomo all'arrivo degli ospiti, ricorda un poco l'inizio di certi film corali di Pupi Avati, è curioso e ben fatto ma dilatato oltre misura (anche per consentire allo spettatore di completare il quadro completo dei personaggi e delle loro relazioni, uno sforzo che occupa i 2/3 del film senza peraltro che alcune figure diano un'impronta significativa).
L'aspetto di "denuncia" delle condizioni dei servitori è molto soft (Altman d'altronde non è certo Loach), ma al regista interessa più l'affresco di un'epoca che la solidarietà per gli "umili", e questo è legittimo.
Ma la parte poliziesca, che introduce il secondo tempo, pur con le attenuanti di una voluta parodistica autocitazione (uno dei protagonisti è produttore delle avventure di Charlie Chan, celebre investigatore cinematografico dell'epoca, e non mancano battute autoreferenziali), è però eccessivamente banale e rende ancora più impalpabile il significato ultimo della pellicola. Stlisticamente ineccepibile, ma troppo fine a sè stesso per lasciare un segno.
Spadini
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Ultimo aggiornamento 06.04.20
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