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(recensioni a casaccio a cura di Beppe Spadini)
DANCER IN THE DARK
Rinunciando agli estremismi del suo "dogma" ma mantenendo l'inconfondibile gusto per le storie estreme (oltre al consueto uso della camera a mano), Von Trier trova un felice (e certo non banale) connubio tra dramma e musical nel raccontare le tragiche vicende dell'operaia Selma (la cantante Bjork) che, destinata alla cecità, ha nella passione per i musical il rifugio da una realtà durissima e piena di ostacoli. Come dicevamo, il dramma è totale (tutto quel che può andar male lo fa, neanche la sceneggiatura l'avesse scritta Artur Bloch), ma l'emozione che dà l'interpretazione di Bjork (personaggio estremo anche in campo musicale, e per questo adattissima alle tinte forti della vicenda) è memorabile, con una identificazione al personaggio che lascia esterefatti. L'artista islandese ha scritto e interpretato inoltre le canzoni dei suoi "sogni musicali": oltre a testi (sottotitolati) spesso toccanti e perfettamente inseriti nella trama, alcune coreografie sono davvero belle (in fabbrica, in treno, in tribunale) e va dato atto al regista di avere saputo fare una così difficile commistione di generi senza cadere nell'umorismo involontario che spesso accompagna queste arditezze. Abbiamo anche apprezzato l'idea di far partecipare ai numeri musicali gli interpreti, a sottolineare come quei sogni, più che una fuga dalla realtà che comunque sta svanendo per via dell'handicap, vogliono rappresentare un'alternativa ad essa, in cui le persone del mondo di Selma non svaniscono ma contribuiscono alla sua felicità. Ci sarebbe ancora molto di cui parlare (l'interpretazione della Deneuve, bravissima, la denuncia dello strisciante razzismo e delle rudezza della giustizia negli States), ma lasciamo al lettore la scoperta dei tanti motivi per cui il film si è meritatamente aggiudicato la palma d'oro a Cannes.
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Ultimo aggiornamento 06.04.20
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