Prof. arch. Biagio Guccione
Imola 20 Gennaio 2001
I colleghi che mi hanno preceduto hanno illustrato in modo esaustivo i dati di base indispensabili per mettere mano su questo sito. Infatti, oramai c’è nella coscienza collettiva, una sorta di una consapevolezza diffusa, che inibisce ogni intervento in un parco fluviale senza conoscerne
la sua storia geologica,
le sue valenze ed implicazioni ecologiche,
e senza valutarne la sicurezza idraulica,
come quest’incontro ha fatto. A questo punto mi rimane il compito di indicare le modalità d’intervento. Come usare questo paesaggio fluviale?
Mi sono chiesto come rispondere a questa domanda che mi è stata posta invitandomi a questo incontro.
Mi sarebbe piaciuto qui esporre gli esiti di qualche ricerca sul Santerno, come hanno fatto egregiamente i colleghi che mi hanno preceduto, ma purtroppo non ho avuto questa opportunità.
Mi rimane la possibilità di dare solo indicazioni generali (ma non generiche) su come i paesaggisti, e solo i paesaggisti affrontano il tema della trasformazione e progettazione del paesaggio in ogni contesto, come progettano i parchi ed i giardini, come si rapportano al paesaggio. Ovviamente per attenermi al tema ho scelto per quanto possibili immagini ed esempi, riguardanti parchi fluviali e o quanto meno, sia presente il rapporto tra paesaggio e fiume, tra parco ed acqua.
E’ opinione consolidata tra coloro che si occupano da anni di paesaggistica che nessuna linea di confine delimita gli interventi a scala territoriale da quelli a scala urbana. Intervenire sul paesaggio richiede la stessa consapevolezza di quando si progetta un giardino e viceversa. Ogni progetto di paesaggistica, degno di nota, è sempre scaturito da una rigorosa conoscenza del paesaggio.
Non ci stanchiamo di ripetere che i grandi paesaggisti sono tali, perché sono stati i fedeli interpreti del paesaggio in cui si trovavano ad operare. Porcinai e Burle Marx, grandissimi maestri, ma molto distanti l'uno d'altro, basti mettere a confronto le loro opere: nei giardini di Porcinai prevale l'uso dei sempreverdi, il raffinato gioco dei movimenti di terra ed il controllo delle proporzioni e dello spazio, mentre le realizzazioni del paesaggista brasiliano si caratterizzano per l'esuberante e disinvolto uso dei fiori e dei colori ma ambedue erano visceralmente legati al paesaggio in cui operavano, dal quale traevano alimento per le loro creazioni poetiche.
Ovviamente la loro lettura del paesaggio era intuitiva, quasi istintiva. Noi dobbiamo avere l'umiltà di utilizzare gli strumenti tecnici oramai consolidati per capire il paesaggio in cui operiamo. L'analisi paesaggistica è la base di un modo di procedere corretto.
Non ci può essere intervento che riguarda gli spazi verdi che non parta da una rigorosa indagine del paesaggio in cui siamo chiamati a dare il nostro contributo professionale sia esso di mera conservazione dell'esistente (parchi nazionali e riserve naturali), di recupero ambientale (cave, aree degradate), o come più spesso capita, di trasformazione dello stato di fatto come nel nostro caso del fiume Santerno, che sta tra il parco urbano ed il parco metropolitano.
Qui, mi limiterò a fare un succinto bilancio di come questo tema sia stato affrontato in Europa con il preciso scopo di trarre suggerimenti dalle esperienze che ci vengono dalla altre realtà, non per trasportarle pedissequamente nel nostro paese, operazione che una corretta prassi paesaggistica rifiuta, ma per trarre stimoli e suggerimenti che ci spingano a migliorare la qualità del nostro paesaggio e delle nostre città ed in qualche caso ad evitare errori.
La progettazione paesaggistica nella recente esperienza europea nasce da una miriade di occasioni, tanto diversificate fra di loro che ogni lettura unitaria può apparire una forzatura: così lontane sono state e sono tuttora le motivazioni economiche, sociali, politiche e spesso culturali che hanno dato vita alle migliori opere contemporanee.
Volendo qui schematizzare le varie esperienze potremmo individuare una sorta di specializzazione per paese.
I tedeschi hanno affidato la loro fama agli straordinari parchi urbani nati dalle "gartenshau", dove l'occasione delle fiere di giardinaggio diventa il pretesto per attivare esemplari operazione di recupero ambientale.
Diversa è l'origine delle migliori realizzazioni britanniche che scaturiscono quasi sempre da interventi di carattere commerciale o industriale quali i 'business park'.
La fortuna dei parchi francesi va invece attribuita alla scelta politica dei 'grandi interventi' di carattere urbanistico (vedi La Villette, Parco Citroên, Bercy).
Mentre la Spagna merita di essere citata soprattutto per la singolare esperienza di Barcellona, legata alle Olimpiadi del 1992, ma anche per il processo più ampio di rinnovamento urbano definito dal Prof. Ribas "decada miracolosa" (1980/90).
Questa suddivisione di comodo ci aiuta a capire come si muove e come si concretizza l'attività paesaggistica nelle varie realtà nazionali, ma ovviamente queste tipologie di progettazione sono presenti anche negli altri i paesi europei: tipico è il caso delle 'gartenshau'. Si tratta di procedure per realizzare parchi urbani, di solito a contatto con fiumi o laghi, utilizzate non solo in Germania, ma anche in Olanda con il nome di Floriade, in Svizzera come Grun (l’ultima nell’80 a Basilea a contatto con il fiume (Birs) o in Inghilterra come Garden Festival (Tyne). In ogni caso, pur seguendo il modello tedesco, esse si sono differenziate notevolmente da un paese all'altro con esiti vari, spesso opposti o decisamente deludenti, come nel caso britannico. Così come l'evento delle Olimpiadi è stato una sorta di elemento generatore per una ricca ed entusiasta attività di riqualificazione urbana a Barcellona, ma anche a Monaco di Baviera. L'evento olimpico si è inserito nel capoluogo della Baviera in un programma coerente di sistema connettivo nel quale gli episodi sopra citati sono stati i segni più visibili di una pianificazione del verde urbano di alto profilo professionale.
Le origini diverse delle più significative opere di paesaggistica realizzate in Europa rivelano nei fatti la difficoltà oggettiva che questa attività trova nell'affermarsi in tutti i settori di sua competenza, paradossalmente proprio nel momento stesso in cui la crisi profonda del Vecchio Continente richiede interventi consapevoli che indirizzino le modificazioni del paesaggio nel rispetto dei caratteri originari e degli equilibri ecologici.
Le radici di queste difficoltà possono essere attribuite a più fattori: fra tutti citiamo il ruolo stesso del progettista del verde, oggi poco identificabile, se non in aree ristrette, come in queste occasioni. Pertanto nel fiorire di "paesaggisti improvvisati" capita spesso che la moda faccia da padrone anche in ambiente dove la paesaggistica è di casa.
Valga per tutti l'esempio olandese dove gli stereotipi del post-modern hanno pesantemente influenzato il Museumpark di Rotterdam. Così come - sempre in Olanda ma di segno opposto agli esempi citati - i movimenti ecologisti sono riusciti ad imporre la trasformazione delle aree lungo le sponde fluviali in campi ricoperti solo di vegetazione spontanea ( come a Blauwenkamer vicino a Wageningen) con esiti che lasciano perplessi gli ingegneri idraulici.
Oggi, dunque, appare un dato comune, che non riguarda solo il nostro paese ma attraversa tutta l'Europa, il ritardo con il quale arrivano ad affermarsi le tecniche, i principi e la cultura stessa che anima l'architettura del paesaggio. Assistiamo infatti a questa dicotomia tra radicalismo ecologista da una parte (che rinuncia spesso alla valenze estetiche del progetto) e forme dichiarate di pregiudiziale rimozione degli aspetti dinamici della natura dall'altra (che si traducono nella pratica in parchi realizzati con le modalità tipiche delle costruzioni).
Di certo sono poche, molto poche, le opere ispirate ad una corretta prassi paesaggistica: nella maggior parte dei casi siamo in presenza di un alternarsi di episodi in cui prevalgono ora gli aspetti architettonici ora naturalistici. Vorremmo qui ribadire alcune delle caratteristiche essenziali della progettazione paesaggistica, per meglio comprendere le contraddizioni di molti interventi.
Quello che i paesaggisti vogliono affermare è l'impraticabilità della scorciatoia spesso presente nel nostro paese di pretendere di avere buoni esiti sommando competenze botaniche ed ecologiche con la tradizionale professionalità dell'architetto e dell'urbanista. Bisogna essere consapevoli che esiste uno "specifico paesaggistico" che è frutto di una maturazione profonda dove le diverse attitudini devono compenetrarsi.
Oggi grazie alla presenza di 5 scuole di Architettura del Paesaggio speriamo che questo approccio progettuale abbia la meglio.
Esempi che riflettono questi diversi approcci non sono solo quelli stranieri, sopra citati, ma esistono anche in Italia. Il Parco della Bissuola a Mestre è il tipico esempio di come le due competenze (anche se di alto livello) sommate insieme non danno risultati apprezzabili: le felici intuizioni urbanistiche e compositive sono mortificate da un forzato connubio tra elementi artificiali ed elementi naturali, mentre è ignorata del tutto l'armonica simbiosi di queste componenti che è la base del linguaggio paesaggistico.
Questo errore è stato evitato in altri due recenti parchi urbani italiani: Il Parco Nord a Milano e il Parco di Secondigliano a Napoli. Il primo, nato come semplice operazione di forestazione urbana, nel tempo è stato ampliato tenendo conto degli aspetti formali; il parco partenopeo, ideato come rigida operazione architettonica, ha trovato poi il suo equilibrio grazie ad una paziente e calibrata sottolineatura degli elementi paesaggistici.
Fare paesaggio è operazione complessa ed abbisogna di risposte più articolate dove convivono esigenze diverse e talvolta opposte: tradizione ed innovazione, natura e cultura, ecologia e forma, arte e tecnologia.
Un esempio ben riuscito in questo senso è senza alcun dubbio il Parco Citroên, che riassume e contempera tutti questi elementi. Il parco realizzato lungo la Senna presenta, come La Villette, uno schema geometrico, ma a differenza dell'opera di Tschumi appare come una rigorosa riproposizione della lucidità cartesiana di Le Nôtre, nell'autentica tradizione di esaltare il giardino come manifestazione sia della ragione che della natura. Basta esaminare tutte le sue componenti: le masse arboree che chiudono l'ampio prato centrale, o il raffinato ed esile arco bianco della metropolitana che corre parallela alla Senna, i giardini tematici o il gioco degli zampilli, tutti elementi che ci fanno rivivere in sintonia con la sensibilità del XX secolo i fasti di Vaux-Le-Vicômte e di Versailles. Dopo l’esasperata ricerca di una frattura con il passato voluta da Bernard Tschumi provocando degli iati insopportabili.
Se osserviamo con attenzione ogni parte di questo intervento scopriamo una sorta di disprezzo per tutto quello che è naturale, gli alberi, gli arbusti sono piegati dall’uomo non per necessità ma per una sorta di disattenzione voluta e ricercata. Basti qui guardare questi inutili terrazzamenti lapidei, omaggio insulso ai vigneti dello champagne
Mentre l’architetto Bernard Huet, progettista di Bercy non ha cercato la novità per la novità, ma semplicemente ha ricreato uno spazio urbano dove mettere «la memoria del luogo a fondamento dell’indirizzo progettuale del nuovo parco» La prima operazione è stata quella di recuperare tutti i segni presenti in questa area, soprattutto conservando la trama ortogonale delle strade e legando questo disegno alla rinnovata struttura urbana ricca di opere architettoniche impegnative, che si affacciano sulla Senna.
Per quanto riguarda le opere pubbliche, il caso di Parigi o della stessa Barcellona sono eventi piuttosto rari frutto di Amministrazioni particolarmente illuminate e con fondi adeguati, ma che ad ogni buon conto sono destinati a rimanere casi emblematici.
In realtà i problemi delle grandi metropoli non si risolvono solo e soltanto con i parchi urbani, sarebbe irrealistico ed utopico. Bisogna essere consapevoli che le nostre città e di conseguenza la nostra vita sono condizionate anche da elementi meno piacevoli, come ad esempio il traffico urbano. "Dobbiamo convivere con strade, incroci, cartelli stradali, luci, pali della corrente, distributori di benzina", aree industriali attive e dismesse, depuratori e cosi via. I paesaggisti più attenti nel cogliere i nuovi compiti che la società impone hanno messo a fuoco queste esigenze. << L'obbiettivo deve quindi essere quello di far diventare anche le strutture necessarie al traffico parte qualitativamente integrata del nostro mondo, come prima lo erano i muretti dei vigneti, le terrazze, gli oliveti, i campi, i prati e le fattorie, che comunque hanno significato un intervento edilizio e dei cambiamenti>>.
In questo campo i tedeschi sono stati e sono tuttora veri e propri maestri ed hanno dato vita nelle loro città (a Monaco, a Stoccarda , a Francoforte, a Berlino ed in altre città ancora) ad una serie di operazione paesaggistiche di straordinaria competenza tecnica e formale in nodi di traffico problematici, centrando l'obbiettivo di far convivere in un raffinato e calcolato equilibrio pali, tubi e corde d'acciaio con alberi, siepi, rampicanti e scarpate inerbite. Sono opere che non appaiono, che non fanno notizia, ma che rendono le città più accoglienti e vivibili.
Sono operazioni che potrebbero essere giudicate semplice maquillage, ma nella pratica impegnano quotidianamente i progettisti ad una responsabile creazione del nuovo paesaggio urbano. Ed in alcuni casi danno man forte alla struttura ecologica della città.
Una lettura distratta del nostro territorio delle nostre città ci fa vedere solo l'edificato, non ci rendiamo che la città è un organismo vivente, con le sue patologie, ma anche con i suoi potenziali anticorpi, che possono renderle più vivibili. Queste potenzialità vanno individuate e valorizzate, ci riferiamo a tutti gli spazi aperti, spesso marginali e trascurati, può essere un'area agricola abbandonata, una discarica da recuperare, gli orti urbani, una scarpata, un canale, ecc.
Si tratta di tutte quelle aree che rendono vivo ancora il nostro ecosistema urbano, che ne impediscono il collasso, basti citare per tutti il problema del ricarico della falda freatica che si avvale della aree abbandonate, delle stesse fasce di rispetto di un impianto tecnologico, di un cimitero, o il sottopasso di un ponte tutte aree indispensabile per non far scomparire la falda.
Da questa breve analisi appare forse chiara l'impraticabilità di tracciare itinerari coerenti per il futuro dei nostri parchi siano urbani o fluviali, in un momento in cui le diverse opportunità e le peculiarità stesse delle realtà locali richiedono un'estrema duttilità e una complessa preparazione scientifica.
In ogni caso bisogna essere consapevoli che le rapide trasformazioni urbane e i mutevoli assetti del territorio impongono la presenza di professionisti attenti e sensibili, perché non possiamo imbalsamare il paesaggio, da una parte, ma di contro dobbiamo riuscire a guidare le trasformazioni di questo paesaggio creando nuovi equilibri ecologici che non rinuncino alla valenza estetica dei nuovi paesaggi che andiamo a creare.